È un aristocratico cugino di don Rodrigo, che risiede abitualmente a Milano e che, nei capp. iniziali del romanzo, trascorre un periodo di villeggiatura ospite nel palazzo
del signorotto: viene descritto come un nobile ozioso, che vive di
rendita come il cugino e che si diverte a passare il tempo tra scherzi,
sciocche dispute cavalleresche e comportamenti frivoli (per
approfondire: G. Bàrberi Squarotti, Il conte Attilio, ritratto di un'anima frivola). Di lui si parla già nel cap. III, quando Lucia
racconta di averlo visto insieme a don Rodrigo allorché quest'ultimo
l'ha importunata per strada e di averlo sentito ridere insieme al cugino
parlando di una scommessa
(dunque il signorotto ha scommesso con lui
che riuscirà a sedurre la giovane popolana e apprenderemo in seguito,
nel cap. VII, che il termine fissato è il giorno di S. Martino, l'11 novembre). Compare direttamente per la prima volta nel cap. V, quando padre Cristoforo
va al palazzo di don Rodrigo per parlargli e lo trova a tavola con i
suoi commensali, fra cui appunto il cugino: questi chiama subito a gran
voce il frate quando il religioso si affaccia timidamente alla porta
della sala, obbligando Rodrigo ad accoglierlo benché ne avrebbe fatto
volentieri a meno, e Cristoforo verrà poi trascinato nell'insulsa
disputa cavalleresca che oppone Attilio al podestà
di Lecco, riguardante una sfida a duello. Il cappuccino risponderà che
per lui non dovrebbero mai esservi sfide o duelli, al che il conte
ribatterà che un mondo senza il "punto d'onore" sarebbe inimmaginabile
(nonostante la sua frivolezza, infatti, Attilio si mostra molto
attaccato ai suoi privilegi nobiliari e particolarmente geloso dell'onore della propria famiglia). È lui a rivolgersi al conte zio, importante uomo politico milanese, affinché faccia allontanare padre Cristoforo da Pescarenico,
facendo leva proprio sul concetto di "onore" che è minacciato dal frate
e fornendo ovviamente allo zio una versione addomesticata della vicenda
che coinvolge Rodrigo e Lucia. La sua morte per la peste viene menzionata all'inizio del cap. XXXIII,
quando si dice che don Rodrigo ha pronunciato un bizzarro elogio
funebre in onore del cugino durante una cena con amici a Milano.
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