Luoghi: uscita dal lazzaretto, strade per il paesello, Pasturo, il paese di Bortolo, Milano
Tempo: dalla sera del 31 agosto al mese di settembre 1630 e analessi sugli ultimi due anni.
Il capitolo si presenta con una struttura frammentata che insegue Renzo
nel suo andirivieni, con continui spostamenti nello spazio, il cui
fulcro diventa il paesello. Il racconto si chiude a cerchio a Milano,
dove si trova ancora Lucia, e il tempo procede in modo lineare, solo
alla fine il capitolo si chiude con un’analessi su Lucia
a partire dal
momento in cui l’abbiamo lasciata all’inizio del capitolo al lazzaretto.
Questo capitolo inizia a chiudere l’intero romanzo con un’altra
analessi sulla sorte di altri personaggi.
IL VIAGGIO DI RITORNO DI RENZO: il cerchio del viaggio
di Renzo si chiude e i suoi pensieri iniziano a ripercorrere le tappe
dell’andata. La scena dell’acquisto dei due pani è l’eco di una scena
del viaggio d’andata nel capitolo XXXIII e l’amico lo accoglierà con gli
stessi atteggiamenti della prima volta. La tensione dei capitolo
precedenti si scioglie e il tono diventa scanzonato, quasi allegro; il
narratore riprende il solito atteggiamento paternalistico bonario, in
cui coinvolge anche il lettore chiamando Renzo il nostro viaggiatore. I
numerosi pensieri diretti e indiretti liberi sono scanditi da frasi di
gioia e dall’enfasi delle ripetizioni in climaz ascendente, che
accentuano l’immediatezza della scena, molto vicina ad una commedia
popolare. Il tema della strada si conferma come leitmotiv del romanzo e
rappresenta la dimensione di Renzo, che è continuamente in movimento,
sia fisicamente che psicologicamente, al termina della lunga notte, in
cui percorre quasi cinquanta chilometri, Renzo si trova alla riva
dell’Adda e lo stile del narratore, come a sottolineare il valore
simbolico del momento, assume toni poetici, come sempre nelle fasi di
passaggio del suo percorso, l’attraversamento del fiume acquista valore
simbolico: l’acqua del temporale lo ha lavato e ora l’Adda lo purifica
definitivamente, donandogli l’energia necessaria per affrontare il
futuro.
LA SORTE DI GERTRUDE, DONNA PRASSEDE E DON FERRANTE:
il narratore manzoniano svolge la funzione di giudice supremo dei
personaggi, a cui distribuisce una sua forma di giustizia, che rivela la
funzione pedagogica del romanzo. Gertrude, donna tormentata e
complessa, espia la propria pena e finalmente giunge al pentimento e ad
una vita spesa nell’aiutare donne, come lei, in preda ai dubbi.
L’accenno alla pena e alla conversione, tuttavia, è piuttosto
sbrigativo, quasi a sottolineare che il personaggio era deputato nel
romanzo a emblema di un percorso inadeguato, lontano dalla dritta via. A
donna Prassede, bigotta dal vuoto formalismo, sono riservate pochissime
parole, quasi a negare qualsiasi valore del personaggio: vuota lei,
svuotato il racconto della sua fine. A don Ferrante, invece, è dedicato
il finale del capitolo, ma anche la descrizione della sua morte è
perfettamente coerente con il personaggio: stavolta non il vuoto, ma il
ragionamento falsamente razionale conduce il personaggio ad una morte,
per contrasto, reale e scientificamente logica. Egli ha negato
l’esistenza della peste, che essendo reale, lo ha ucciso. Lo scopo di
Manzoni è quello di educare il suo pubblico a difendersi dai tranelli
dei falsi ragionamenti e da una cultura libresca avulsa dalla realtà,
per questo la punizione peggiore per don Ferrante sembra essere la
dispersione dei suoi libri sui muri di rivenditori di libri usati,
venduti a poco prezzo e ridotti a merce di scarso valore. La vita e la
morte di don Ferrante sono tanto vuote di senso che rappresentano la
fine di tutta una cultura quanto la vita e la morte di fra Cristoforo
sono state sante e trasmettono un messaggio pedagogico e un modello da
seguire per un futuro diverso.
Nessun commento:
Posta un commento